31 ott 2016

Scoperte francesi con souvenir in una domenica di quasi Halloween

Mi piace viaggiare anche senza aver programmato il viaggio, e abitando al confine con la Francia non è poi così difficile sconfinare. I luoghi più interessanti che conosco sono appunti i confini, quelli che per molti sono solo posti di passaggio, con una via e poche case, pochi abitanti a far da sentinella al tempo, pochi tesori custoditi con cura e rubati alla memoria, quasi santificati. 
Così sono approdata a Saint Paul sur Ubaye, che disterà circa una ventina di chilometri dall'Italia, passando per il Colle della Maddalena, per approdare nell'Alta Valle dell'Ubaye, ai piedi dell'Aiguille de Chambeyron. La regione è quella della Provenza-Alpi-Costa Azzurra e il dipartimento è quello delle Alpi dell'Alta Provenza. In alta stagione conterà duecento abitanti o poco più, ieri ne ho incontrati più o meno una decina, tutti impegnati in qualche lavoro di falegnameria o carpenteria, ma senza disdegnare un contatto con due turisti italiani come noi, in cerca di scatti memorabili e qualche racconto da interpretare nel mio stentato francese. 

Da qui inizia il mio peregrinare nella storia, non solo di questo piccolo borgo medievale della Francia provenzale, ma anche nel passato dell'Occidente penitenziale, dove la carità era un abito da indossare con costante impegno, come ci ricorda in un libro molto interessante André Vaucez, che parla proprio della Spiritualità dell'occidente medioevale

Questo cammino mi ha portato fino ad Henry Guichard, un simpatico abitante di Saint Paul, custode di chiavi di ogni luogo, discendente di una famiglia italiana, emigrata in Francia per scappare dal fascismo, carpentiere e lavoratore instancabile, guida spirituale per i corpi ormai tumulati dei tanti viaggiatori che qui trovarono riparo, famiglia, lavoro e morte e di cui gli eredi han solcato altri monti, in una emigrazione messicana che tanti accoliti ha avuto da queste parti. 

"Saint Paul è un paese perduto", mi diceva dentro la cattedrale romanica, completamente al buio, ma con una teca illuminata a giorno, per dirmi di quanto sia difficile vivere nel ricordo di un posto che non vive più, senza abitanti, senza turisti - se non di passaggio per andare oltre - senza memoria e senza sosta. E poco prima avevo ammirato, in uno dei tanti edifici storici ormai abbandonati o trasformati in casa di vacanza, lo stemma di una confraternita laica di penitenti, che insieme ad altre tre della zona, era particolarmente attiva da queste parti. Tanto attiva da attirarsi le ire della Controriforma e senza aver voluto piegare la sua vocazione laica ad un assetto più religioso, perdersi nelle pieghe del tempo. 

 Eppure le confraternite di questa parte della Francia, nate da vocazione laica e volontà di far del bene, si intestavano delle battaglie di cura e soccorso, e in particolare in questa piccola comunità grande cura veniva prestata alla sepoltura dei concittadini e ponendosi sotto il nome dello Spirito Santo, si passavano di generazione in generazione il compito di provvedere alla cura delle sepoltura delle anime di Saint Paul. La bella chiesa, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, in stile romanico lombardo, in effetti era chiusa, ma il cimitero era aperto e visitabile, con una pace e una vista sulla valle e i colori autunnali, da far venir voglia ai vivi di prenotarsi un piccolo angolo di pace eterna per il futuro. 


Come mi ricorda un testo di Jacques Le Goff su "L'immaginario medievale", erano anche i santi ad accompagnare nel loro cammino nell'aldilà i morti, e in particolare Paolo e Pietro. 
L'orientamento delle chiese di montagna è particolare, e risale alla concezione antica della morte e resurrezione dell'anima, in un periodo in cui ancora non esisteva la luce elettrica. Per cui anche questa chiesa ha l'abside orientata a levante, il cimitero di fronte alla porta è sul lato opposto, perché il sole della resurrezione, dopo la notte buia della morte, illumini le sepolture in un viaggio che va dal mattino, fino alla navata e infine tramonti verso l'abside, trovando nell'alto, l'auspicio alla vita eterna. 


Il recinto della chiesa, secondo l'arte romanica, rappresenta dunque l'uomo, e il viaggio che si fa lunga la navata, accompagnato dalle due porte, quella di est con la pietà, simbolo di conforto nella morte, e quella di ovest - ovvero la parte absidale - che si conclude nella cuspide, è la via verso il regno dei cieli e la salvezza. Le parti più antiche risalgono al XII secolo, opera dei monaci di Chalais di Boscodon. 

Restaurata ed ingrandita dai Savoia nel Quattrocento; danneggiata dai protestanti di Lesdiguières, dalle guardie nazionali di Barcelonnette, dal terremoto del 1958 e ripristinata negli anni Sessanta del Novecento, grazie alla generosità di una famiglia d’emigrati in Messico; ha conservato lo spirito delle origini. E se all'interno del recinto sacro, oltre al cimitero vi è posto per una cappella dei Penitenti, dove si conservano opere di pregio donate da artisti di passaggio, su un fianco, quello Nord, è visibile il monumento ai caduti. 


Di norma non c'è grande raccordo tra la cattedrale e il monumento, e se ne stanno, a ricordare i propri morti, uno da una parte e uno dall'altra. Qui la storia è intimamente legata, e l'opera, commissionata al presidente Paul Reynod, nato qui, addirittura al suo amico Landowsky, ovvero l'autore del Cristo di Rio de Janeiro, riproduce l'affresco del timpano del portale, una pietà che abbraccia i suoi caduti, figli di una comunità "perduta", ad opera del tempo, delle riforme religiose, della guerra, che svuota di giovani padri un piccolo borgo. 

Mi piacerebbe poter vedere un giorno, tra un Henry e un Jean anche delle comunità di profughi, che qui troverebbero spazio e riparo dalle brutture del mondo...chissà che non possano le nuove guerre restituire ciò che le guerre di un tempo hanno tolto. 

E mentre facevo queste riflessioni e ringraziavo, mi congedavo da Henry, col buio ormai sul desolante silenzio delle strade e sui giardini incolti di case splendide, affacciate su monti, forti e sul bel ponte antico poco vicino, tutto in pietra a strapiombo tra due gole, che prende il nome di ponte di Châtelet ecco che il mio nuovo amico è reticente a lasciarci andar via, e ci porta a casa sua per un Cassis e un Genepi, il primo, vino liquoroso tipico della regione del Cassis e a base di frutti rossi, allungato con Pastis, e il secondo fatto in casa secondo la tradizione delle erbe aromatiche di montagna. 

Una casa povera e piena di ricordi di ogni tipo, ritagli, riviste, foto e libri, con la sua stufa a legna e il pranzo del giorno prima ancora sul fuoco, mentre gli chiedo di scrivermi l'indirizzo e mi accorgo che non può, e con imbarazzo mi ritorna la penna dettandomi il nome e la via. Un'altra contraddizione di questo posto, un uomo colto che ricorda a memoria la propria storia, e quella di ogni abitante di questo borgo, che non riesce a scrivere. Un abbraccio ci congeda e il ricordo di una giornata diversa, tra leggende, sculture in pietra e legno, storia e presente. Un souvenir francese racchiuso dentro l'abbraccio di un falegname di Saint Paul. 

1 ott 2016

#Arteinmostra: Un "Love" contemporaneo omaggia Warhol e mi riporta alla Winterson





Qualche anno fa, durante una sessione di esami di Letteratura Italiana, la studentessa che mi stava seduta di fronte, per niente intimorita dall'elenco antologico chilometrico, e alquanto spazientita dal non aver potuto sostare di fronte all'unico collega maschio, con la sua profonda scollatura a V, rispose ad una mia domanda molto provocatoria, sul ruolo della letteratura, citandomi l'amore come motore dell'opera d'arte. Secondo la signorina in questione, per la precisione, "la Letteratura nasce solo dall'amore e per l'amore". Tralasciando che il proseguo dell'esame si svolse sul Principe di Machiavelli, e il suo sorriso divenne una smorfia quasi pendente sulla scollatura, ho ragionato molto, in questi anni, sull'estrema semplificazione di quella frase. In un certo senso penso anche io che le parole Amore e Arte debbano camminare di pari passo, ma in un senso assolutamente diverso. 


Il senso si avvicina molto alla frase che Danilo Eccher, curatore della mostra Love, al Chiostro del Bramante a Roma dal 29 settembre al 17 febbraio 2017, pone quasi in epigrafe a inaugurare il percorso delle opere: "L'arte è sempre una grande dichiarazione d'amore". Il percorso si snoda attraverso il tema amoroso e il suo incipit è battezzato dalla scultura di Robert Indiana "Love". Non mancano i pois di Yayoi Kusama, né le opere di altri importanti artisti contemporanei come Francesco Clemente, Tom Wesselman e Andy Warhol. Ricordo a tal proposito di aver compreso il concetto di artista solo da una mostra stupefacente a Milano di Warhol, in cui il visitatore poteva immergersi totalmente in tutte le sue opere. 



Da quella mostra ho portato con me un piccolo souvenir comprato al Bookshop, il libretto dei tascabili Bompiani, del 2004, "La filosofia di Andy Warhol". Credo sia una lettura molto istruttiva, come di solito succede con i libri scritti da artisti, ed assolutamente esaustiva di quello che in un artista rende assolutamente legati tra loro i concetti di genio e follia. È un librettino provocatorio e disarmante sul concetto di arte assoluta, arte come filosofia del vivere e sul processo di mercificazione dell'arte contemporanea che ha portato la maggior parte del pubblico moderno ad odiarla e a stimarla inutile e incomprensibile, basandosi sull'assioma molto poco realistico del "potevo farlo anche io". L'arte contemporanea è basta sul dilemma intuitivo del concetto, dello stupore, dell'ovvio iconizzato, dello sperimentale e non sull'artigianalità del manufatto, sulla realizzazione del prodotto. Si cerca una reazione, o semplicemente un'idea e la porta all'attenzione degli altri, ecco perché chiedere ad un artista cosa volesse rappresentare potrebbe deludere, la domanda dovrebbe essere posta allo spettatore, in realtà. 


Ma tornando a Warhol e alla sua filosofia, espressa in quindici capisaldi e relativi paragrafi, il primo è appunto dedicato all'amore e vi sono contenute massime come questa:
La gente dovrebbe innamorarsi tenendo gli occhi chiusi. Non devi far altro che chiudere gli occhi. Non guardare
E a proposito di Marylin, che è presente in mostra in una versione in negativo, Warhol dice:


Le persone sono più baciabili quando non sono truccate: Le labbra di Marilyn non erano baciabili, ma erano molto fotografabili.


E in questo, io credo, risieda anche il segreto dell'innamorarsi dell'opera d'arte oggi, in tempi in cui l'oggetto non è solo godibile dagli occhi ma deve essere fotografato, postato, immolato e iconizzato una seconda volta, nella vita virtuale, per dimostrare, a fatti, più che a parole che è entrato in me, e ora tutti potranno ammirarlo in relazione a me e al mio profilo. Lo possediamo infine, in una maniera veloce, come un rapporto sessuale a cui non concediamo il tempo della durata, una scadenza preventiva e senza conseguenze. 


E invece "L'arte dissente" come scrive in un magnifico saggio dedicato all'arte e alla critica Jeanette Winterson, nei suoi scritti sull'estasi e la sfrontatezza la scrittrice inglese riflette sul ruolo dei fruitori del messaggio artistico, pubblicando dieci saggi brillanti e provocatori editi da Mondadori nel 2006, dieci anni fa. E mi ruba i pensieri, esprimendoli meglio di come ho saputo fare io finora, con questa frase:


Nel mondo occidentale abbiamo escogitato due modi per evitare incontri dolorosi con l'arte: la banalizziamo oppure familiarizziamo con essa. La nostra ossessione per il passato ha il doppio vantaggio di far apparire grezze e rozze le nuove opere, se accostate alla patina confortevole della tradizione, e di respingere la connessione vitale che la tradizione ha con quello che sta accadendo ora. Creando isole di alterità fuori dalla catena ininterrotta della creatività umana, riusciamo a istituire paragoni falsi, aspettative false, lamentandoci nel contempo che la musica, la poesia, la pittura, la prosa, la performace art di oggi, non riescano a reggere il confronto con l'arte di ieri, ed è questa la ragione per cui non ci toccano. Ma la realtà è che nulla più ci tocca: né il passato che ci ostiniamo a inventare, né il presente che ci ostiniamo a negare. Se ami un Cézanne, puoi amare un Hockney, un Boyd, un Rao. Se lo ami davvero, non solo a parole.
L'arte è quindi amore, per ciò che si fa e per ciò di cui si gode. Ricordiamocelo, senza banalità, sia quando parliamo di amore sia quando ci accostiamo a un processo creativo contemporaneo.