1 ott 2016

#Arteinmostra: Un "Love" contemporaneo omaggia Warhol e mi riporta alla Winterson





Qualche anno fa, durante una sessione di esami di Letteratura Italiana, la studentessa che mi stava seduta di fronte, per niente intimorita dall'elenco antologico chilometrico, e alquanto spazientita dal non aver potuto sostare di fronte all'unico collega maschio, con la sua profonda scollatura a V, rispose ad una mia domanda molto provocatoria, sul ruolo della letteratura, citandomi l'amore come motore dell'opera d'arte. Secondo la signorina in questione, per la precisione, "la Letteratura nasce solo dall'amore e per l'amore". Tralasciando che il proseguo dell'esame si svolse sul Principe di Machiavelli, e il suo sorriso divenne una smorfia quasi pendente sulla scollatura, ho ragionato molto, in questi anni, sull'estrema semplificazione di quella frase. In un certo senso penso anche io che le parole Amore e Arte debbano camminare di pari passo, ma in un senso assolutamente diverso. 


Il senso si avvicina molto alla frase che Danilo Eccher, curatore della mostra Love, al Chiostro del Bramante a Roma dal 29 settembre al 17 febbraio 2017, pone quasi in epigrafe a inaugurare il percorso delle opere: "L'arte è sempre una grande dichiarazione d'amore". Il percorso si snoda attraverso il tema amoroso e il suo incipit è battezzato dalla scultura di Robert Indiana "Love". Non mancano i pois di Yayoi Kusama, né le opere di altri importanti artisti contemporanei come Francesco Clemente, Tom Wesselman e Andy Warhol. Ricordo a tal proposito di aver compreso il concetto di artista solo da una mostra stupefacente a Milano di Warhol, in cui il visitatore poteva immergersi totalmente in tutte le sue opere. 



Da quella mostra ho portato con me un piccolo souvenir comprato al Bookshop, il libretto dei tascabili Bompiani, del 2004, "La filosofia di Andy Warhol". Credo sia una lettura molto istruttiva, come di solito succede con i libri scritti da artisti, ed assolutamente esaustiva di quello che in un artista rende assolutamente legati tra loro i concetti di genio e follia. È un librettino provocatorio e disarmante sul concetto di arte assoluta, arte come filosofia del vivere e sul processo di mercificazione dell'arte contemporanea che ha portato la maggior parte del pubblico moderno ad odiarla e a stimarla inutile e incomprensibile, basandosi sull'assioma molto poco realistico del "potevo farlo anche io". L'arte contemporanea è basta sul dilemma intuitivo del concetto, dello stupore, dell'ovvio iconizzato, dello sperimentale e non sull'artigianalità del manufatto, sulla realizzazione del prodotto. Si cerca una reazione, o semplicemente un'idea e la porta all'attenzione degli altri, ecco perché chiedere ad un artista cosa volesse rappresentare potrebbe deludere, la domanda dovrebbe essere posta allo spettatore, in realtà. 


Ma tornando a Warhol e alla sua filosofia, espressa in quindici capisaldi e relativi paragrafi, il primo è appunto dedicato all'amore e vi sono contenute massime come questa:
La gente dovrebbe innamorarsi tenendo gli occhi chiusi. Non devi far altro che chiudere gli occhi. Non guardare
E a proposito di Marylin, che è presente in mostra in una versione in negativo, Warhol dice:


Le persone sono più baciabili quando non sono truccate: Le labbra di Marilyn non erano baciabili, ma erano molto fotografabili.


E in questo, io credo, risieda anche il segreto dell'innamorarsi dell'opera d'arte oggi, in tempi in cui l'oggetto non è solo godibile dagli occhi ma deve essere fotografato, postato, immolato e iconizzato una seconda volta, nella vita virtuale, per dimostrare, a fatti, più che a parole che è entrato in me, e ora tutti potranno ammirarlo in relazione a me e al mio profilo. Lo possediamo infine, in una maniera veloce, come un rapporto sessuale a cui non concediamo il tempo della durata, una scadenza preventiva e senza conseguenze. 


E invece "L'arte dissente" come scrive in un magnifico saggio dedicato all'arte e alla critica Jeanette Winterson, nei suoi scritti sull'estasi e la sfrontatezza la scrittrice inglese riflette sul ruolo dei fruitori del messaggio artistico, pubblicando dieci saggi brillanti e provocatori editi da Mondadori nel 2006, dieci anni fa. E mi ruba i pensieri, esprimendoli meglio di come ho saputo fare io finora, con questa frase:


Nel mondo occidentale abbiamo escogitato due modi per evitare incontri dolorosi con l'arte: la banalizziamo oppure familiarizziamo con essa. La nostra ossessione per il passato ha il doppio vantaggio di far apparire grezze e rozze le nuove opere, se accostate alla patina confortevole della tradizione, e di respingere la connessione vitale che la tradizione ha con quello che sta accadendo ora. Creando isole di alterità fuori dalla catena ininterrotta della creatività umana, riusciamo a istituire paragoni falsi, aspettative false, lamentandoci nel contempo che la musica, la poesia, la pittura, la prosa, la performace art di oggi, non riescano a reggere il confronto con l'arte di ieri, ed è questa la ragione per cui non ci toccano. Ma la realtà è che nulla più ci tocca: né il passato che ci ostiniamo a inventare, né il presente che ci ostiniamo a negare. Se ami un Cézanne, puoi amare un Hockney, un Boyd, un Rao. Se lo ami davvero, non solo a parole.
L'arte è quindi amore, per ciò che si fa e per ciò di cui si gode. Ricordiamocelo, senza banalità, sia quando parliamo di amore sia quando ci accostiamo a un processo creativo contemporaneo.

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