24 lug 2015

Un tè alla salvia con le spose israeliane di Noemi Ragen










La Gerusalemme di una femminista




Naomi Ragen scrive da trent’anni, più o meno da quando ha deciso di trasferirsi a Gerusalemme dagli Stati Uniti. Eppure in Italia i suoi romanzi circolano, tradotti, da appena due. Nove romanzi che hanno un unico filo conduttore: la donna all’interno dell’ebraismo ultra-ortodosso.

Racconta la sua Gerusalemme, così lontana dai cliché, a cui siamo soliti affezionarci, e così amata; luogo di incontro e rinascita per la religione e le tradizioni ma anche luogo in cui le leggi dell’apparire si scontrano con quelle della violenza privata, sotterrandone i segreti inconfessabili. Naomi Ragen li porta alla luce, in maniera impietosa, lei, che nel suo sito si definisce: “Una donna ortodossa, femminista e iconoclasta, sostenitrice instancabile per i diritti delle donne in Israele, che conduce una campagna implacabile contro gli abusi domestici e i pregiudizi nei tribunali rabbinici”.



Fuori dai circuiti "intellettuali" perché ama il suo Paese


I romanzi pubblicati in Italia sono i suoi primi tre: Una moglie a Gerusalemme, L’amore proibito, L’amore violato (Editore Newton Compton).
Al Salone di Torino, l'anno scorso, Angelo Pezzana, dell'Associazione Italia-Israele di Torino ha detto di lei: «L’abbiamo invitata perché è una delle autrici più rappresentative del suo paese, in Italia sono stati tradotti solo tre romanzi, che affrontano la realtà della donna in Israele e curiosamente la critica italiana l’ha ignorata, forse perché non le importa di essere conosciuta e scelta per altri motivi, oltre la sua scrittura, fuori da Israele. Un artista, purtroppo, per essere conosciuto fuori da Israele, oggi deve far sì che le sue opere riflettano una critica totale del paese in cui vive; anche Naomi critica le istituzioni religiose “conservatrici” in Israele, ma non fa parte di quel circolo scelto, amato, pubblicato di scrittori e registi, scelti perché critici, senza se e senza ma, verso Israele. Lei fa parte di quel gruppo che critica, con i se e con i ma e anche con molto amore per il suo paese». 


"Racconto le chiusure dell'Ebraismo ortodosso"


Di se stessa, la scrittrice ha detto: «Come mi sono avvicinata alla narrazione? Sono nata in America, mio padre proveniva da una famiglia proveniente dall’Ucraina, bene integrata, e mia madre da una famiglia ebrea molto religiosa, ma non eravamo molto religiosi; ad esempio non osservavamo lo Shabbat, e non ho ricordi legati alla mia famiglia come una famiglia religiosa. Quando ho compiuto sei anni mio padre è morto, mia madre è rimasta vedova con tre bambini piccoli, in uno dei quartieri più poveri di New York e mio fratello frequentava una scuola che a mia madre non piaceva per nulla, così ha deciso di iscriverlo ad una scuola ebraica, perché nonostante fosse costosa vi erano delle borse di studio per le famiglie povere e così provò; ma visto che mio fratello non era troppo grande per frequentarla, decisero di iscrivere me. Cominciò così il mio percorso, a sei anni, presso una scuola ortodossa. Non conoscevo nulla della mia religione, cultura, storia, ero una ragazzina americana come molte altre, pian piano ho appreso l’ebraico e così ho iniziato a capirne di più della mia identità, fino alla decisione inevitabile, una volta cresciuta, di trasferirmi a Gerusalemme. Lì pensavo di essere una persona molto religiosa ma mi sono scontrata con una realtà che non conoscevo; che ho deciso di raccontare nei miei romanzi, andando anche contro determinate chiusure dell’ebraismo più ortodosso».



Il tè è una bevanda diffusa tra i palestinesi, offerta da ogni famiglia, dai villaggi beduini alle città. Ma lo si gusta anche per le strade di Gerusalemme e Ramallah, dove tutti i momenti della giornata sono giusti per una tazza di tè alla salvia, shai maa’ qas’iin’








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