25 nov 2018

Quando le mie donne trovarono la loro strada nel buio di un teatro

"Guardavo da un angolino la scena che non avrei più dimenticato. La bella signora, dal corpo sottile e dalle braccia forti, è al centro della stanza, io penso di scappare; non voglio mangiare l’intruglio brodoso da cui sono scappata poco prima, ma lei non mi vede. Non riesce a vedermi, e non mi sta cercando. Resta ferma e immobile al centro della stanza buia, e c’è una voce che d’improvviso la fa girare, così di scatto, ruota su se stessa come fosse una ragazzina, e non una donna matura e forte. Ruota su se stessa e si gira verso quella voce, e piange. La voce si fa sempre più dura, farfuglia qualcosa che non capisco, o non ricordo, ma stanno parlando di una bimbetta. Stanno parlando di me, in mezzo a scatole polverose e ragnatele, in mezzo a vecchie macchine agricole dismesse, e zappe arrugginite, un gommone appeso al muro, la bici senza rotelle che non trovavo più, la voce si fa possente, diventa un braccio, un pugno, e giù forte. Ancora più forte sul bel vestito della bella signora, sul ventre piatto e i capelli lunghi scompigliati, ora in terra. Ho le mani sulle orecchie ma i miei occhi guardano ancora, schiaffi e pugni…poi la luce, la calda luce che irrompe su tutto quel dolore, l’uomo che esce dal capanno e lei in terra. Non si muove più, solo i singhiozzi le fanno ancora sussultare lievemente il capo, chino a terra, senza più forza. Io non so cosa fare, e resto lì, gli occhi spalancati e le mani sulle orecchie, resto lì e la sento piangere, e i miei piedi non riescono a muoversi, incontrando per la prima volta sulla soglia della mia sensibilità bambina la fragilità dell’umiliazione e del dolore di un adulto, di una donna, di mia madre" 

Sono passati alcuni anni, eppure ricordo ancora l'emozione di stare seduta al buio, in mezzo al pubblico, e ascoltare le mie parole raccontarsi su un palco. Perché questo succede quando scrivi per il teatro; magicamente, e quasi senza volerlo, consegni le tue parole più intime agli altri e lasci che prendano una strada tutta loro, imprevista, a volte incredibilmente lontana da quello che avevi immaginato. Avevo scritto un racconto per liberarmi, come spesso succede quando scrivere è un'urgenza, da brutte sensazioni, dalla deriva che stava prendendo il mestiere di raccontare il quotidiano, dall'incubo peggiore per un giornalista, ovvero passare dal dietro le quinte al centro della vicenda narrata. Un fatto di cronaca mi aveva colpito, quello che vedeva protagonista una collega, spedita sul luogo di un incidente, che poi aveva trovato sull'asfalto il corpo di suo padre. Le sostituzioni giornalistiche estive mi mettevano spesso al centro di questi drammi stradali, e ricordo come una fobia vera e proprio, la ricerca delle generalità di chiunque avesse perso la vita in incidenti stradali, scongiurando ogni volta il fatto che potessi conoscerli in qualche modo. Ma non era solo questo. In realtà tutta la mia rabbia verso le ingiustizie era nata da un fatto di cronaca, che aveva colpito me e la mia famiglia qualche anno prima, e mi aveva lasciata quasi esanime e impotente, per la forza con cui i fatti narrati si erano impressi nella mia testa, a partire da un titolo e da una prima pagina, che raccontava, pur senza raccontarlo, il dramma della mia stessa famiglia.

Un dramma poi affrontato e superato da tutti noi, ma che in quel breve e laconico foglio di carta stampata non aveva reso giustizia alla vicenda, ai protagonisti, a noi tutti, e di cui vedevo la crudezza, per la prima volta, solo anni dopo, quando anche io, ero entrata a far parte del sistema, mossa dalla voglia di raccontare le cose come realmente erano, scavando, intervistando e soprattutto comprendendo empaticamente chi me li raccontava. I racconti e le poesie facevano parte del mio DNA di adolescente, così come il giornalismo è diventato parte della mia vita da adulta, formandomi come persona, come professionista e forse prima ancora come essere umano. Al teatro non avevo mai pensato, perché i dialoghi sono sempre la parte più difficile del narrato, e io preferisco far scorrere pensieri e non battute; ma quella fu una sfida, vinta grazie alla complicità di un amico attore, e per l'occasione regista, Eduardo Saitta, e di suo padre, meraviglioso pilastro del teatro siciliano e oserei dire nazionale, Salvo Saitta, che rese il mio personaggio concreto e vivo, oltre ogni immaginazione, oltre alla brava e sensibile Katya Annino. Il mio atto unico si chiamava "Scatole cinesi" e debuttò nella stagione in cui al Piscator, teatro catanese piccolo e ben curato, si rappresentavano, due novità in coda alla stagione tradizionale. Uno era un classico del teatro, una partita a scacchi di Giacosa, l'altro era il mio atto unico, che debuttava il 24 marzo, giorno del mio compleanno, 2011.


Ho ripescato gli articoli di quell'anno e qualche intervista rilasciata a caldo, in cui commentavo così la vicenda: «Tanti sono i temi che si rincorrono dentro questo atto unico; alcuni solo accennati, altri approfonditi, molti magistralmente celati. Quando l’ho scritta, due anni fa, partivo da una certezza, che raccontare la cronaca è sempre un mestiere delicato, bisogna appassionarsi alle storie, partecipare alle emozioni che scaturiscono dal vissuto di chi li vive e poi distaccarsene, partire in fretta per non rischiare di venirne coinvolti troppo e in prima persona. Alla protagonista del mio atto unico, Giulia, la giornalista che ha lasciato terra e affetti per diventare una professionista affermata, o forse solo per dimenticare un pezzo di se stessa, capita l’esatto contrario, deve “ritornare” nella sua terra, nei suoi luoghi, per raccontare un fatto tragico di cronaca, intervistando un presunto assassino, Don Paolo, che rappresenta proprio quella parte di esistenza da cui aveva deciso di andar via. La professione del giornalista, abituato a raccontare con distacco la vita degli altri, deve fare i conti, per una volta, con la cronaca dei suoi stessi affetti, che in maniera paradossale e prepotente la costringe a essere “pirandellianamente” se stesso e un altro. Solo così, appropriandosi di molteplici punti di vista, che creano un gioco a incastro strano e variopinto, ognuno potrà tirar fuori la verità che preferisce. Del resto la verità ha sempre molteplici facce e nel gioco delle parti non è raro che la vittima finisca per diventare colpevole».
E in questa giornata così importante, quella della violenza contro le donne, mi piace ricordare quel momento e quello spettacolo, perché ho finalmente avuto la mia rivincita a nome di tutte le vittime, mettendo un finale diverso ai troppi finali scontati di questi anni, sbattendo in faccia ai perbenismi la violenza che ogni vittima si porta dentro. Ci sono vittime che non possono parlare, quelle a cui si impedisce anche di pensare, ci sono donne che non sono libere di vestirsi come vogliono, di lavorare, di frequentare amici e parenti, che non possono essere donne, perché vengono private dell'elemento che le caratterizza: la loro forza immensa. Quella forza può essere amore infinito ma anche rabbia, dolore e ferocia. E in Giulia, in questa mia vittima-carnefice, io ho dato voce a queste donne. Così come per anni ho cercato di fare con moltissime altre donne, in ogni parte del mondo, per evitare che qualcuno possa sporcarne il sorriso, il pensiero o il ricordo. Solo con la forza di essere chi siamo riusciremo a dire basta. Non dobbiamo essere eroine ma avere il coraggio di combattere per la nostra voce, perché sia chiara, forte e arrivi al di sopra di ogni bavaglio e ogni silenzio, trovi la propria strada e possa camminare da sola.

10 ago 2017

Consigli per l'estate pochi, letture tante

Non amo tanto i consigli per l'estate perché un libro lo leggi quando vuoi e in base al tuo umore, però ci sono certi libri che obiettivamente non consiglierei come letture estive. Un libro è un amico, un consigliere, una fonte di ispirazione, un aiuto, un momento di conoscenza, un alter ego dei nostri sogni o desideri. Ci sono libri che non è facile leggere, a prescindere dal clima e dalla stagione, altri che ti fanno dimenticare anche che giorno è. Niente elenchi dunque per questa estate, niente consigli. Solo degli amici con cui ho condiviso alcune delle mie giornate e delle mie nottate.






Al primo posto di questa non classifica metterei una novità, che sta già facendo discutere molto Nuvole di fango di Inge Schilperoord, Fazi Editore. Un libro davvero incredibile, soprattutto perché scritto da una esordiente. In poche parole è la lenta lotta agonizzante o per meglio dire la parabola distruttiva, senza alcun moralismo, di una mente malata di pedofilia, che lotta contro se stessa per non soccombere alle pulsioni e alla malvagità. Un giudizio in una parola: Travolgente.













Bella scoperta anche L'avversario di Emmanuel Carrère, Adelphi. Un libro non recentissimo da cui ho iniziato la mia personale scoperta di questo scrittore. Si tratta della storia vera di un pluriomicida che ha nascosto la sua identità al mondo, fino alla resa finale. Come aveva già fatto magistralmente Truman Capote anche Carrère si spinge fino in carcere per cercare di capire le motivazioni di un gesto così assurdo ed efferato. Un libro magistrale.













Non si può andare in vacanza in Sicilia senza godere di qualche chicca dell'editoria locale o senza usufruire di una visione dell'isola da parte di chi c'è nato, senza scomodare i grandi nomi della letteratura meridionale, quest'anno ho scelto L'Arte di annacarsi di Roberto Alajmo, Editori Laterza. Insomma diciamolo: solo un siciliano può raccontare luci e ombre della sua isola suscitando sdegno e risate. Imperdibile.










E sempre per restar in tema siciliano, ho letto Alla deriva e Le pause della vita di Maria Messina, Edizioni Croce scoprendo una scrittrice dimenticata, allieva di Verga, amata da Sciascia, e la forza della sua scrittura e delle sue donne. Non solo Sicilia nelle sue opere, questi romanzi lo dimostrano, ma soprattutto una forma di scrittura femminile che non può essere etichettata solo come verista, per la complessità dei personaggi, influenzati nella struttura anche dalla letteratura russa. 




















Non potevo poi non cercare qualcosa che mi legasse ai miei amati viaggi o alla mia passione per la geopolitica, e così ho letto un ebook che è stato una scoperta Siria, un diario in tempo di pace di Marco Dominici, Delos Digital. Bisogna leggerlo per capire una cosa che ho sempre ricercato nelle mie inchieste in aree di crisi e che è stato lo sunto per ogni mio reportage, ovvero che alle origini delle guerre di oggi c'è sempre un prima, quello della Siria è insospettabilmente complesso e attento all'Occidente, è ricco di costumi e di modi di vivere così simili ai nostri, che invece ci immaginiamo per questo Paese solo un contesto da Mille e una notte. In questo diario c'è la cronaca dei mesi e degli anni prima del caos e della guerra, dal punto di vista di un insegnante che ci racconta la sua Siria. L'ho trovato molto vero e molto istruttivo.







Infine ho conciliato tre dei miei grandi amori in una sola lettura, ovvero la Sicilia, la cucina e la ricerca. Leggendo I quaderni di Archestrato Calcentero di Marco Blanco, Bonfirraro Editore, è possibile infatti immergersi nelle antiche tradizioni di luoghi unici e a me cari come il Monastero dei benedettini di Catania, luogo delle mie giornate universitarie e per intenderci anche location in cui De Roberto ha ambientato una parte del suo romanzo I viceré ma soprattutto è possibile capire cosa mangiavano questi monaci, attraverso un lungo viaggio di ricerca basato sulle scorte dei benedettini, le note di acquisto, i registri delle merci, le annotazioni sulle ricette si finisce dritti sulle le tavole dei notabili siciliani, facendo un lungo viaggio archeogastronomico sulle tradizioni dell'isola che ama la cucina. In una parola un libro gustoso!